Michèle Mouton: semplicemente la Regina

Michèle Mouton: semplicemente la Regina

Michèle Mouton

 

 

Ci sono sport dove la donna è considerata poco più di un piacevole contorno, qualcosa di bello e magari con le armi di seduzione in bella mostra, che allieti i maschi, un utile diversivo alla drammaticità della competizione. Non è un caso il detto reciti “Donne e motori, gioie e dolori” e, si sa, quello dei motori è un regno dedito al maschilismo, peggio di quello calcistico.

Diverso diventa, quasi insopportabile in quel mondo, quando i dolori la donna te li dà direttamente come avversaria in pista o nello sterrato di un rally, insomma invadendo e sovvertendo la sacralità dello sport per veri “machos”, dove i giri del motore e la velocità equivalgono alla lunghezza degli attributi.

Michèle Mouton è stata questo e molto di più: è stata la prima donna a vincere un Rally Mondiale, la prima e unica a vincere la gara simbolo americana Pikes Peak ed è stata la prima donna a sfiorare il titolo mondiale, mettendo dietro tutto il gotha rallystico degli anni 80.

Michèle è nata nel 1951 a Grasse, in Provenza, da 400 anni riconosciuta come capitale dei profumi, città dei profumieri alla corte di Francia, dove si vive della produzione di fragranze alla lavanda, gelsomino, mimosa, rosa centifoglia, fiori d'arancio e violetta. Cinquantamila abitanti sono quasi tutti impiegati nel settore profumeria quindi, per la giovane Michèle, sembra l'attività più facile e scontata.

Macché, la ragazza è una molto determinata e tosta, si iscrive a giurisprudenza e nel frattempo guida la macchina del padre, amante delle auto da corsa. Michèle fa pratica sui tratti completamente deserti delle campagne provenzali e della riviera anni 60, già da adolescente. Papà la osserva da vicino, da passeggero, e rabbrividisce quando la pilota in erba “esagera”, ma nota anche un certo talento.

Da quei primi rudimenti alla prima esperienza come navigatrice, a fianco del pilota Jean Taibi amico di famiglia, il passo è breve. Il rally è quello di Montecarlo, la storica gara che diede vita al rally moderno. Le cose vanno bene, Taibi è contento e decide di averla come navigatrice in tutte le gare successive. Papà Mouton li segue e si accorge che Michèle non si accontenta di essere “una che sta a fianco”, anche se le donne pilota nell'ambiente sono veramente pochissime: lei vuole stare dalla parte di chi guida. Così le dice:”Ok, ti compro un'auto e ti pago un anno di gare: se andrai bene continuerai, altrimenti la finiremo lì”. Abbandona così studi e sedile del passeggero per mettersi al volante dell'Alpine110 che il padre le compra. Michèle confida:”Aveva tantissima fiducia in me. Credeva che una donna potesse gareggiare ad alto livello. Se ci ripenso, la mia carriera l'ha costruita lui”. Iniziò con gare semplici, contro altre donne, ma non c'era molta competitività, così capì che se voleva fare progressi doveva entrare nel circuito principale. Nel 1975 si presenta al Tour di Corsica gara valevole per il mondiale ed ha solo 24 anni.

Le prime reazioni del circus sono ovviamente molto negative: scherno, spallucce, uno sdegno strisciante. “Cosa crede di fare la ragazzina” è il massimo comun denominatore che caratterizza l'ambiente. Michèle risponde fregandosene e pigiando sull'acceleratore.

Era una cosa tremenda, che continuava di notte. Sentivi tutta la potenza del motore, la forza di gravità, eri al massimo per controllare il mezzo. Mischiavo Coca Cola e caffè per restare sveglia e concentrata. Massacrante per il fisico e sapevo di essere inferiore ai maschi in quello, per cui dovevo dare il 110%” dirà nelle interviste. Al termine sarà dodicesima al traguardo, ma prima del suo gruppo; quell'anno diventerà agevolmente Campionessa Francese ed Europea femminile. Tutti rimangono completamente esterrefatti del risultato e di quelli successivi. Chiuso al decimo posto il Mondiale e la cosa non piace all'ambiente. Molti pensavano che Michèle barasse in qualche modo, insomma che imbrogliasse, che la sua auto fosse più potente o avesse subito modifiche fuori regolamento, perchè era impossibile che una donna potesse essere così veloce. Erano gli anni delle rivendicazioni femministe e la parte maschile ci teneva a mantenere la supremazia: il sessismo era la routine quotidiana.

I piloti decisero quindi di far controllare l'auto, che venne ispezionata dalla FIA e dichiarata conforme. Michèle non fu però soddisfatta, così decise di fare un altro “affronto” partecipando alla 24ore di Le mans su pista, vincendo la categoria Prototipi 2000 con un equipaggio tutto femminile. Il risultato catturò l'attenzione dello sponsor petrolifero ELF. Con sponsor e talento Michèle continuò a salire di livello e gareggiare in campionati dove le donne al via erano sempre meno e soprattutto, sempre dietro, insieme ad un numero sempre crescente di maschi.

A questo punto quindi, com'è di prassi anche oggi, iniziarono i pettegolezzi su quanti uomini fossero stati suoi amanti per avere auto tanto competitive e sponsor importanti. Michèle era molto bella e lo stereotipo idiota, che ancora oggi esiste, all'epoca era una normalità.

Alla fine del 1977 viene contattata dalla Fiat per partecipare all'intero Campionato Francese di Rally con l'auto ufficiale italiana; diventa pilota professionista e papà finalmente può smettere di finanziare, anche se solo in parte, la figlia. “Se avessi provato prima l'auto non avrei accettato” dice Michèle “richiedeva uno sforzo fisico enorme, niente servo-sterzo e motore davanti. Era molto pesante, le mie mani erano sempre piene di vesciche. Era una sofferenza dietro l'altra. Per una donna quel mezzo era al limite della sopportazione, ma credo mi abbia insegnato a come correre più veloce. Fu anche un periodo divertente, pieno di feste e di bella vita, ma mio padre un giorno mi mostrò uno dei tanti risultati: ottavo posto. Mi risvegliai, decisi che dovevo fare qualcosa: smisi di bere e fumare, eccetto lo champagne”.

Nel frattempo i tempi stavano cambiando: i clienti delle auto prediligevano e si rispecchiavano nelle vincenti delle corse e le case costruttrici iniziarono ad investire pesantemente su tutto il comparto gare e sulla pubblicità.

Nel 1980 quindi, Audi la chiama e le affida l'avveniristica Audi Quattro, con turbo-compressore e 4 ruote motrici, insieme ad uno dei migliori piloti al mondo come compagno di squadra, Hannu Mikkola. Audi vuol diventare, al pari di Bmw e Mercedes, un'auto ambita dal pubblico e la progettazione dell'Audi Quattro avviene in gran segreto, così come la prima adozione in assoluto delle 4 ruote motrici. Il regolamento non ne contemplava nemmeno l'omologazione, perchè fino a quel momento non esisteva nulla di simile.

Michèle Mouton chiama come co-pilota/navigatrice l'italiana Fabrizia Pons, con la quale ci sarà un'unione formidabile ed una grande amicizia che dura ancora oggi.

Confida Michèle:”Quando ci presentammo per la prima volta in officina, i meccanici aspettavano i piloti e si chiedevano cosa ci facessero due ragazze là dentro, chi fossero”.

Nel 1981 Michèle e Fabrizia furono l'unico team al femminile presente nel Mondiale. Era un ambiente molto sessista, che vedeva le donne relegate alla consegna dello spumante, sul podio, nel dopo gara o come hostess per gli sguardi poco innocenti del pubblico. Ridevano tutti all'inizio, al passaggio di quella strana auto a 4 ruote motrici, guidata da donne: sembrava una barzelletta calata nella realtà. In questo contesto affatto divertente, inizia la leggenda di Michèle Mouton.:”Volevo solo essere a livello del mio compagno di team Mikkola e dimostrare che ero stata scelta perchè ero veloce”.

Negli anni 80 il Campionato Mondiale Rally si disputava in 12 gare coprendo tutto il Mondo, con prove di giorno e notturne, anche per migliaia di kilometri in qualsiasi condizione meteo, dove la somma dei tempi più veloci dava la vittoria: una competizione sfiancante. Il primo anno fu difficilissimo per Audi che affrontava la stagione con un'auto completamente diversa, molto complicata, con una squadra di meccanici in formazione perché proveniva direttamente dalla fabbrica, con molti problemi di gioventù del mezzo e senza le soluzioni immediate per rimediare.

Se Michèle avesse fallito tutti avrebbero pensato “ve l'avevamo detto, una donna non può stare qui”: la pressione psicologica fu enorme.

Si arriva al rally di Sanremo: due tappe su asfalto, poi due giorni di sterrato e una notte su asfalto. All'ultima tappa l'equipaggio Mouton-Pons domina la classifica con tre minuti di vantaggio, ma verso la fine delle tappe una rottura dei freni porta ad uno stop per riparazione. Ridotto a 32 secondi sono incalzate da Ari Vatanen, mitico finlandese che diventerà poi Campione del Mondo proprio nel 1981.

Vatanen prima del Sanremo aveva dichiarato che non si sarebbe mai fatto battere da una donna, che ne odiava anche solo l'idea, che se fosse successo avrebbe smesso di correre (NdR Vatanen poi nel tempo ebbe a scusarsi per la frasi inopportune): la cosa a Michèle non era piaciuta. Preparò l'ultima tappa con grande pignoleria, cercando di controllare l'ansia e la tensione.

Vatanen:”Pensavo che Michèle fosse più facile da battere rispetto altri per cui la sottovalutai. Guidai convinto di superarla e sbagliai durante una curva, picchiando l'auto sul muretto. Dovetti ritirarmi”.

Michèle Mouton fu la prima donna in assoluto a vincere una gara del Mondiale Rally. Fu un evento straordinario che nessuno aveva mai immaginato potesse accadere veramente. In Audi non pensavano avrebbe mai potuto vincere, il contratto parlava di “scopo promozionale” ed ora si trovavano in casa una pilota dello stesso livello dei grandissimi. Avrebbe dovuto gareggiare per fare pubblicità, invece aveva vinto, un bel problema.

Infatti per il 1982 era pronto lo stesso identico contratto, ma durante le contrattazioni Michèle taglio corto “E' tutto molto semplice, come se fossi un maschio: raddoppiate la cifra e chiudiamo!”.

Se nel 1981 per Audi, dopo gli investimenti enormi era arrivata qualche vittoria, il 1982 doveva essere l'anno della vittoria mondiale, anche se contro gente del calibro dei finlandesi volanti Vatanen e Toivonen su Opel e Alen su Lancia, ma soprattutto sempre su Opel Walter Röhrl detto il “computer umano” per come sapeva interpretare le tappe. Sarebbe stata durissima.

Iniziò male per Michèle al Montecarlo, con un pauroso incidente dove la navigatrice Pons soffrì di commozione cerebrale: il ghiaccio non era previsto in alcune curve, ma si presentò e fu protagonista. Walter Röhrl vinse il rally. In Portogallo però trionfò Michèle, poi in Grecia, poi in Brasile. Il testa a testa andò avanti per tutto il Campionato infiammando il pubblico ed il tifo, tra la “Regina dei rally” come ormai era chiamata Michèle e il “Computer Umano” Röhrl.

Non fantasticavo di diventare campionessa del mondo” dice Michèle “no no, non è nel mio carattere. Nelle gare devi essere concreta: prima diamo il massimo, poi vediamo cosa succede. La pensavo così”.

Purtroppo alla vigilia del rally decisivo, quello della Costa d'Avorio arrivò la tremenda notizia della morte del padre, in cura per un cancro da qualche mese. Questo devastò Michèle che decise comunque di partecipare come avrebbe voluto il suo papà, che l'avrebbe voluta in cima al Mondo. Guidò con la morte nel cuore, spesso piangendo; nonostante tutto, mentre stava dominando la gara con un'ora di vantaggio su Röhrl, sentì un problema alla trasmissione. I meccanici Audi stranamente non la sostituirono, ma intervennero su altre parti e alla ripartenza la frizione non funzionò.

Quando Michèle potè ripartire dopo la riparazione finalmente corretta, l'ora di vantaggio era svanita e si trovava dietro. Per tentare un disperato recupero uscì di strada: tutto era finito, il rally e il mondiale ormai irrimediabilmente perso.

Di quella decisione Audi così assurda, oggi Michèle dice laconicamente:”Hanno sbagliato”.mentre Röhrl si limita ad un “E' la vita”. Stranezze mai risolte, anche se le mosse Audi degli anni successivi qualcosa lo lasciano trapelare.

Mentre per tutti il Campione del Mondo morale era Michèle Mouton, lei era già volata al funerale del padre, al quale donò i suoi guanti sulla bara, distrutta nello spirito e incurante della sconfitta sportiva.

Il 1983 e il 1984 furono deludenti, anche perchè Audi, guarda caso, assunse proprio il campione del Mondo in carica Röhrl e questo fu un colpo molto basso per Michèle.

Una mossa prevedibile da parte di una casa bavarese verso un bavarese che, però, divise la squadra, fortemente unita emotivamente alla pilota.

Federica Pons dice al riguardo:”Audi aveva avuto la pubblicità che voleva con un equipaggio femminile e poco importavano i risultati. Adesso era il momento di andare “sul sicuro”, quindi si puntò sul -tedesco su auto tedesca-. Michèle li aveva portati alla ribalta, ma gli affari sono affari: o accetti le cose come stanno o te ne vai. E' triste e spietato, ma è così”.

Mouton nel 1983 arrivò quinta senza partecipare nemmeno a tutte le gare, mentre nel 1984 fu 12esima, impiegata più per le ospitate pubblicitarie in Tv che per altro.

 

Nel 1985 Audi decise di approdare in USA sempre a scopo promozionale. Così ecco la sfida di Pikes Peak, una sfida vera, una sfida tremenda: si sale in cronoscalata su di una montagna su strada sterrata senza protezioni.

In America è la gara che determina quanto vali al pari della Indianapolis 500 su pista ed è per veri uomini, dal testosterone fuori scala, per cowboys senza paura, perchè è molto pericolosa. Per la prima volta gli americani si vedono arrivare degli europei, vedono una turbo 4 ruote motrici e, per di più, con una donna sopra. Perchè Audi a Pikes Peak manda Michèle Mouton. Si racconta che Bobby Unser, il Re di Pikes Peak, ridesse molto guardando Michèle e la sua auto; da bullo tipico del Colorado era convinto fosse quasi uno sgarbo inviare una donna ad una delle gare più difficili e pericolose del mondo, perchè qui guard-rail non ce n'erano e se sbagliavi andavi giù, proprio giù dalla montagna!

Il sorriso però svanì presto: nelle prove Michèle era tra i più veloci della cronoscalata.

Allora gli americani colpiti nell'orgoglio le provarono tutte: prima una penalità per “eccesso di velocità” in un tratto, un'invenzione degli organizzatori che l'Audi minacciò di portare su tutti i giornali. Poi, in quella che è una partenza lanciata basilare per fare il tempo, verso la salita, obbligarono la francese a partire in folle praticamente da ferma.

Mi dissi che gliel'avrei fatta vedere. Non avrei mai perso questa gara, per niente al mondo!!!” ricorda Michèle che partì letteralmente inviperita.

 

Michèle Mouton vinse con il record della pista, il miglior tempo di sempre nella cronoscalata di Pikes Peak, unica non americana a farlo. Sulla cima, una lastra in marmo oggi ricorda i 60 vincitori e lei è l'unica donna.

Bobby Unser inviperito al traguardo sul picco, dicono la affrontò per supposti imbrogli, ma lei rispose:”Se hai le palle puoi provare a gareggiare con me andando in giù” tra le risate generali.

Aveva ormai conquistato l'America.

 

Da quel momento il rapporto con Audi si chiuse e Michèle guidò un'ultima stagione con Peugeot, ma complice la morte del collega Henri Toivonen nel Rally di Corsica e la soppressione delle gare Gruppo B, a 35 anni decise di staccare la spina.

La Regina dei Rally, terminò quella che rimarrà un'impresa storica nella storia dello sport motoristico, ma anche un esempio unico nella società, contro il sessismo, contro tutti i pregiudizi, per la parità tra donna e uomo.

A tutt'oggi resta l'unica con record nella storia del campionato mondiale di rally, in un ambiente molto ostile.

 

Oggi Michèle Mouton è dirigente della FIA (Federazione Internazionale Automobile).

 

Cosa significa coraggio? Crescere sei o otto figli è coraggioso. Scalare l’Everest è coraggioso. Navigare in mezzo all’oceano è coraggioso. Ma non serve coraggio per guidare la 24 Ore di Le Mans o alcuni dei Rally di Monte Carlo. Devi solo avere le capacità e amare quello che fai. Vale a dire combattere, raggiungere e superare i tuoi limiti”.

Michèle Mouton

 

 

 

 

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