Quale limite?

Quale limite? I limiti nella vita e nel mondo dello sport che aiutano a rispettare noi stessi e gli altri

Quale limite?

 

 

Non poniamoci limiti. 
Nel film Limitless del 2011, Bradley Cooper interpreta un uomo che scopre accidentalmente l’efficacia di una pillola segreta, capace di farlo diventare chiunque lui voglia essere senza nessuna fatica; uno scrittore di successo, un abile imprenditore, un musicista, un laureato acculturato. La medicina, difficile da reperire e ancora in fase di sperimentazione, gli dà la possibilità di apprendere in pochi minuti, quello che normalmente viene studiato intensamente nel corso di tanti anni, allora, Eddie decide di approfittarne e cerca di ottenere sempre di più attraverso i suoi successi. 
Non porsi confini nel sognare e nello sfidare sé stessi prima degli altri, è un concetto che ci viene inculcato sin da quando siamo bambini. La società ci bombarda facendoci credere che darsi un limite appartenga ai deboli, a coloro che non hanno il coraggio di spingersi oltre e fare quel salto spaventoso dagli scogli mentre tutti aspettano di vedere. Il messaggio che passa dalle scuole ai campi sportivi, fino al mondo del lavoro è sempre uno: supera, vai oltre. E oltre ci siamo andati, questa volta davvero. 
Il caso scoppiato in Spagna per il bacio rubato dall’ex presidente della Federcalcio Rubiales alla calciatrice Hermoso durante la premiazione del mondiale femminile in Australia e Nuova Zelanda, ha gettato il calcio iberico nel caos totale, buttando benzina sul fuoco e alimentando il tema delicatissimo dei diritti delle donne nello sport e no. 
Chissà se Rubiales, nel momento in cui ha stretto il volto della Hermoso tra le mani, ha pensato “Posso, io non ho limiti”, di certo il bacio in mondovisione ha fatto riflettere rispetto a questa brama di strapotere, a volte smisurata, e allora viene lecito domandarsi; Chi decide quando è il momento di fermarsi? Chi lo insegna? 
Scossa dall’affair Rubiales-Hermoso, la FIGC ha provato a rispondere a questi quesiti, chiedendo ufficialmente alle società maschili e femminili di organizzarsi sui comportamenti leciti da mettere in atto, seguendo delle linee guida precise e dando altrettante istruzioni agli atleti. Chi ha dovuto adattarsi e imparare da subito quali comportamenti adottare, è senza dubbio Maurizio Ganz, ex calciatore di serie A e attuale allenatore di una squadra della serie A femminile, oltre ad essere impegnato in una sfida sportiva, è soprattutto dedito in un lavoro di precisione dove alcune linee non vanno superate e ha raccontato come si svolge la sua professione sulla panchina del Milan Women, uno dei club che ha manifestato maggiore solidarietà alla Hermoso durante la sua battaglia ai poteri forti del calcio spagnolo: 
“Ho cercato di capire quello che potevo fare e quello che non potevo fare: ho chiesto aiuto anche a mia moglie e mia figlia. Io sono sempre stato focoso come allenatore e con le ragazze ho sentito di dover cambiare, non la sostanza ma i modi. Uno dei miei primi pensieri è stato come affrontare il tema del ciclo mestruale e a fare attenzione a dove entravo. Tipo chiudere la porta dello spogliatoio se la vedo semiaperta o dire alle ragazze di farlo. Quando le giocatrici segnano e mi vengono ad abbracciare, sono abbracci di gioia. E questo nessuno deve togliercelo”. 
Queste le parole dell’ex attaccante di Milan e Inter che dimostrano quanto i piccoli dettagli possano fare la differenza. Una differenza che è necessaria ma che non deve, necessariamente, trascendere nell'annullamento di alcuni principi e valori naturali dello sport. 
Nelle ultime settimane, la reazione al, purtroppo, noto bacio, sta portando il mondo dello sport a proporre modifiche concrete e una delle ipotesi al vaglio è quella di vietare i contatti fisici al di fuori di quelli utili alle discipline. Una decisione già presa da Alessandra Marzari, presidente del consorzio Vero Volley, la quale si è definita una “Talebana”: “Ho vietato nelle mie squadre giovanili qualsiasi contatto fisico. Non si danno il cinque, non si abbracciano. Le cose che si possono fare per schivare gli abusi e le zone grigie, però, sono tante: dal doppio allenatore alla formazione per tecnici e giocatori. Nelle squadre di serie A, darsi la mano al cambio è permesso. Ma i limiti sono e devono rimanere chiari” ha dichiarato Marzari. 
Il cambiamento è evidentemente necessario e qualcosa va fatto, altrettanto sacrosanto, però, è il rispetto dello sport e dei suoi principi intrinsechi, infatti, stravolgere alcune regole può voler dire perdere determinate culture, e in questo mondo sarebbe pericoloso dover rinunciare a quella dello sport, uno dei pochi veri insegnamenti di vita rimasti per le generazioni future, che sin da quando iniziano a calcare i campetti malconci di periferia fino ad arrivare agli stadi più imponenti del mondo, sono abituati a sentire il contatto con il corpo dell’avversario in una sfida leale, meritano di esplodere la felicità all’interno di un abbraccio di gioia con un compagno per celebrare i tanti sacrifici compiuti insieme, aspettano il cinque di un allenatore che durante una sostituzione, fa capire loro di essere stati all’altezza della situazione. Laddove le parole non sanno arrivare, i gesti fisici hanno il diritto di continuare ad esistere giocando il loro ruolo fondamentale e non devono essere condannati per colpa di qualche comportamento sbagliato, se pur compiuto da un uomo che occupa i piani alti del sistema calcio.  
Allora, forse, piuttosto che stravolgere, dovremmo provare a darceli questi limiti, ad imparare e insegnare da subito che fermarsi non è sinonimo di debolezza. Dovremmo provare a fare diversamente dal protagonista del film che, nonostante sia conscio delle conseguenze negative, continua ad assumere la pillola del super potere e non ha il coraggio di accettarsi umano, con pregi e difetti reali. 
Un punto di partenza potrebbe essere quello di cambiare l’accezione che diamo alla parola limite, farla diventare accettabile, capire che le parole sono tanto importanti quanto i gesti e se darsi un limite vuol dire fermarsi per paura di fare male a sé stessi a qualcun’altro, allora facciamolo: Poniamoci limiti. 

 

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