Lo sport, il lavoro e le Donne: a che punto siamo?
Lo sport, il lavoro e le Donne: a che punto siamo?
Il Censis ha presentato, nel giugno scorso, il rapporto sulle interazioni che esistono tra lavoro e sport per le donne in Italia.
Facciamo un excursus rispetto ai soliti articoli informativi e partiamo dal fondo, ovvero dalle conclusioni, che arrivano poi a livelli che Lapalisse in persona avrebbe molto amato: lo sport per le donne coincide con le possibilità lavorative e socio-economiche.
Chi più e meglio lavora, più è addentro la società moderna, più accorcia il gender gap, più si muove nella contemporaneità quotidiana, più riesce a coniugare il tempo libero con lo sport e la forma fisica.
Se la media Europea delle donne che praticano almeno 2 ore e mezza di attività fisica la settimana è del 31,8% e, ai vertici, abbiamo immancabilmente Olanda, Danimarca, Svezia e Germania che viaggiano verso il doppio della percentuale, noi con le regioni di nord-est e nord-ovest ci attesteremmo tranquillamente nella Top Ten tra Irlanda e Lussemburgo. Saremmo verso l'ottava posizione, molto più avanti di Francia e Spagna, con una media del 36% circa.
La realtà, triste, è che siamo vergognosamente al 22esimo posto con il 18,8%. Insomma le “diamo sode” solo a Portogallo, Malta, Bulgaria e Romania; Cipro, ad esempio, fa meglio di noi.
Secondo i dati, il numero delle donne che praticano sport in Italia è oltre 8 milioni e mezzo, rappresentando il 43,3% del totale degli sportivi nel paese. A queste cifre si aggiungono ulteriori 9 milioni di donne che dedicano almeno un po' di tempo all'attività fisica. Complessivamente, questo significa che il 59,4% delle italiane si impegna in attività sportive e/o motorie.
A prima vista non sembrerebbe così male perché, questi numeri, indicano una crescente partecipazione femminile nello sport e nell'attività fisica, sull'onda della consapevolezza veicolata, anche dalla stampa femminile, sull'impatto positivo dell'esercizio fisico sul benessere generale.
Questo trend apre anche nuove opportunità per l'industria dello sport e del fitness nel fornire servizi mirati alle esigenze specifiche delle donne che si affacciano ad una visione moderna (che poi è anche antica..) del proprio corpo: non solo come strumento di grazia e bellezza al fine della seduzione, ma legata a misura, proporzione, equilibrio, simmetria e armonia, che furono i precetti fondanti per l'idea di benessere e salute nell'Antica Grecia.
Sia che si tratti di poter praticare uno sport agonistico o semplicemente dedicarsi a qualche attività motoria per mantenersi in forma, continuare a incoraggiare la partecipazione femminile nello sport è ormai fondamentale per promuovere uno stile di vita attivo e sano per tutte le donne italiane.
Così, le prove raccolte, dimostrano che le persone attive lavorano in modo più efficace e produttivo rispetto a coloro che conducono una vita sedentaria. Non solo ottengono migliori risultati nel loro ambito professionale, ma godono anche di un senso di benessere sia nei confronti di sé stesse che degli altri.
Le donne sportive, in particolare, hanno dimostrato di avere una maggiore motivazione e concentrazione sul lavoro. Questo può essere attribuito al fatto che lo sport promuove la disciplina e la determinazione necessarie per affrontare sfide professionali.
Oltre ai benefici individuali, adottano anche uno stile di vita più moderno e sostenibile. L'attività fisica regolare favorisce l'adozione di abitudini alimentari più sane e l'utilizzo dei mezzi di trasporto sostenibili con molta più costanza (vedi bicicletta).
Inoltre, i territori più avanzati integrano lo sport nel contesto del lavoro, per creare un ambiente moderno e stimolante. Le aziende incoraggiano le dipendenti a partecipare ad attività sportive durante il tempo libero o organizzano eventi sportivi interni per promuovere le varie discipline.
È evidente come sia importante considerare l'attività fisica come parte integrante del quotidiano, per ottenere benefici tangibili sia sul piano professionale che personale.
Nelle aree del Centro-Nord dove le donne che praticano sport sono più numerose, si osserva un interessante fenomeno: lo sport diventa un vero e proprio veicolo di emancipazione che contribuisce a ridurre le disparità di genere anche in altri ambiti della vita sociale, come ad esempio il posto lavoro.
Questa situazione crea un circolo virtuoso in cui la pratica dello sport diventa una fonte di empowerment. Grazie all'attività fisica e alla partecipazione alle competizioni sportive, le donne acquisiscono una maggiore fiducia in se stesse, sviluppano abilità comunicative e di leadership, imparano a gestire lo stress e ad affrontare sfide.
Questi benefici si riflettono nella sfera lavorativa, aiutando psicologicamente ad essere più determinate e assertive nel percorso professionale e ad ottenere pari opportunità.
È vero che la presenza delle donne nei ruoli apicali nel mondo dello sport in Italia è ancora molto limitata: su un totale di 4.708.741 atleti tesserati alle diverse Federazioni sportive, solo il 28% sono donne. La disparità di genere diventa ancora più evidente tra gli operatori sportivi, con solo il 19,8% degli allenatori, il 15,4% dei dirigenti di società e soltanto il 12,4% dei dirigenti di Federazione che sono donne.
In pratica il concetto resta ancora quello del “fate più sport, ma state al vostro posto che non siete adatte al comando”. Questa stupida prevaricazione da noi è molto più difficile da estirpare rispetto ai paesi del nord Europa ed è figlia della nostra teoria sociale, non a caso molto simile alle altre nazioni del sud Mediterraneo: siamo leggermente ancora medievali.
Anche il titolo di studio per le nostre donne sportive conta molto. Le sportive hanno un titolo più elevato di chi fa vita sedentaria: il 26,9% è laureata, il 36,5% è diplomata, contro rispettivamente il 9,7% e il 27,3% tra chi non fa attività fisica. Quelle che fanno meno sport sono le casalinghe con il 34,3% seguite dalle pensionate con il 24,2% mentre le sportive sono occupate al 49,8%.
I risultati forniti dal Censis quindi, indicano che le non-sedentarie studiano e lavorano di più, mentre quelle che teoricamente “hanno più tempo” sono ferme: sembrerebbe un ossimoro, ma solo ad una lettura dei dati superficiale.
Poi vediamo perché....
Le sportive sono anche molto “green” e consapevoli dell'ambiente e dell'alimentazione (il campione è dai 18 ai 64 anni).
La bici? Ce l'ha e la usa il 74,6% di chi fa attività fisica contro il 47,3% delle sedentarie (la media italiana maschi compresi è del 63,8%); il 68,2% delle sportive smaltisce nei centri raccolta i rifiuti e differenzia abitualmente contro il 40,7% delle sedentarie; il 25,9% mangia biologico e il 31,2% acquista a kilometro zero, mentre tra le sedentarie solo il 15,3% mangia biologico e solo il 23% evita di tendenza i supermercati per le piccole botteghe locali.
Beh allora le sedentarie saranno sempre su TikTok o impegnate nei social, potremmo dire...no per niente! Il 95,6% delle sportive è collegata abitualmente contro il 78,2% delle sedentarie e l'81,3% usa il PC contro il 46,7% delle sedentarie.
Le donne che praticano sport sono più propense a visite culturali rispetto a quelle che non lo fanno. Infatti, il 18,3% delle donne sportive visita mostre e musei, rispetto alla media del 10,8%. Tra le donne non sportive, questa percentuale scende addirittura al 3,8%. Le sportive leggono più libri, con il 67,8% che ha letto almeno un libro nell'ultimo anno, rispetto al 25,9% delle donne non sportive. Infine, la maggioranza delle donne sportive, il 50,8%, legge almeno una volta a settimana quotidiani online contro il 23,9% delle sedentarie. Questi dati sfatano i pregiudizi e le semplificazioni che vedono una cesura tra sport e cultura "alta".
Allora la donna sportiva è quasi una donna “perfetta” e lo sport è la causa principale di questa perfezione, oppure è solo la conseguenza di possibilità di vita diverse rispetto alla donna che non riesce, per vari motivi anche indipendenti dalla sua volontà, ad avvicinarsi all'attività fisica?
“Qui casca l'asino” potremmo dire.
Tornando all'incipit con il quale abbiamo aperto questo pezzo, dobbiamo per forza di cose tenere conto della disparità che le donne affrontano in Italia, nel poter diventare sportive o meno, a secondo del luogo in cui vivono. E' il solito discorso delle due velocità nord-sud e delle due mentalità nord-sud, in un Paese perennemente in lotta con le proprie storiche origini.
Guardiamo la classifica del dove le donne pratichino più sport e, in rapporto diretto, il loro tasso di occupazione.
Percentuali di sportive: Trentino-Alto Adige; Valle D'Aosta; Veneto; Lombardia; Friuli-Venezia Giulia; Piemonte; Emilia-Romagna.
Percentuali di occupate: Trentino-Alto Adige; Valle D'Aosta; Emilia-Romagna; Toscana; Friuli-Venezia Giulia; Lombardia; Veneto.
Le meno sportive d'Italia dove abitano? Agli ultimi tre posti Campania, Sicilia, Calabria. Le meno occupate dove abitano? Agli ultimi tre posti Calabria, Campania, Sicilia.
In pratica le donne impegnate normalmente nell'attività fisica si collocano nel Nord-ovest per il 34% e nel Nord-est per il 36,3%, mentre per il 19,7% al Sud e Isole.
Le donne che lavorano stabilmente sono per il 60% al Nord-ovest, per il 62% al Nord-est, mentre sono solo il 34,4% al Sud e nelle Isole. Il Centro Italia si attesta su valori nella media che è rispettivamente 29,2% e 51,1%.
Se ne deduce che, nel contesto del mercato del lavoro, le donne affrontino ancora diverse sfide: al Sud hanno maggiori difficoltà di accesso all'occupazione e spesso si trovano a lavorare meno ore rispetto ai loro colleghi maschi. Inoltre, tendono ad occuparsi di lavori meno qualificati e a guadagnare meno rispetto agli uomini. Questa disparità di genere non si limita solo al Sud del Paese, ma vede sicuramente in quel contesto la sua forma più necrotica.
Le donne che risiedono nel Sud d'Italia affrontano una doppia discriminazione: oltre alle difficoltà legate al genere, devono anche affrontare le sfide di vivere in aree svantaggiate dal punto di vista economico e sociale. Questa situazione ha conseguenze negative sullo sviluppo professionale, che spesso trova ritardo rispetto ai colleghi maschi.
La scelta di non fare sport e quindi di non occuparsi della propria salute e del proprio benessere, è spesso una scelta obbligata. Questa situazione può essere attribuita a diversi fattori, tra cui la mancanza di servizi di assistenza all'infanzia accessibili ed economicamente convenienti, stereotipi di genere che attribuiscono alle donne la responsabilità principale della cura della famiglia e la mancanza di politiche aziendali che promuovano la parità di genere e la conciliazione dei tempi di lavoro.
Anche il lavoro part-time ha conseguenze negative, in termini di retribuzione e opportunità di carriera. Spesso, infatti, i lavori a tempo parziale sono retribuiti in misura inferiore rispetto ai lavori a tempo pieno e possono offrire meno possibilità di avanzamento professionale. Ciò contribuisce ormai da tempo alla persistenza delle disuguaglianze di genere.
Ricapitolando, la condizione socio-economica influisce in modo pressoché totale sulle possibilità femminili di accedere al mondo dello sport.
È importante sottolineare che l'accessibilità allo sport per le donne deve essere garantita a tutti i livelli, sia a livello amatoriale che professionale. Ciò significa promuovere politiche di inclusione e pari opportunità nelle federazioni sportive, garantendo strutture adeguate e programmi di sostegno finanziario per le atlete.
La Politica deve promuovere la pratica sportiva tra le donne perché non solo beneficia loro stesse, ma anche l'intera società in termini di salute, benessere e progresso economico.
Un Paese moderno che vuole progredire non può prescindere da questo e non è solo un'opportunità di crescita, ma un DOVERE da rispettare.
I dati ci dicono che la situazione attuale, al ventiduesimo posto in Europa, è una VERGOGNA da cancellare.
Auspichiamo che lo si faccia in tempi brevi.
“Le donne sono una vite su cui tutto gira”.
(Lev Tolstoj)